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Immagine del redattoreVittoria Pisani

Tra-me e me: l'inizio di tutto

Tutto ha inizio nel il 14 dicembre 2017, una data che non dimenticherò mai è che ha determinato l'inizio di tutto.

Quel mattino avevo brividi di freddo più del solito. Sembrava un rigido inizio dell’inverno milanese. Aveva nevicato tanto negli ultimi giorni, eppure c’era un sole davvero caloroso. Intanto pensavo a mia nonna Rosa, mentre percorrevo una delle ultime volte con Matteo la solita strada verso la nostra prima casina, un grazioso monolocale. Le nostre ombre ci precedevano baldanzose sul marciapiede, come una proiezione incerta di una coppia protesa verso un nuovo futuro. Eravamo felici perché da poco avevamo fatto uno di quei passi importanti della vita, ovvero come si suole dire “messo su casa”: un posto non soltanto per dormire, ma anche per sognare dove crescere una famiglia con amore; un posto non per trovare solo riparo dal freddo, ma un angolino tutto nostro da cui ammirare il cambiamento delle stagioni; un posto non semplicemente dove far passare il tempo, ma dove riporre gioia e altro per il resto dei giorni. Nonostante tutto continuavo ad avere brividi di freddo dietro la schiena e pensavo a mia nonna per il bisogno di un suo caldo abbraccio. Matteo mi salutò con fretta per non tardare a lavoro e io rientrai nel monolocale quasi vuoto, o meglio pieno di scatoloni da traslocare. Credo di essere stata lì fissa a guardarli per una mezz'ora cercando di capire perché avessi questi brividi continui e una stanchezza infinita. E’ vero che giorni prima avevamo compiuto una serie di faccende lunghe e complicate per via della nuova casa, ma mi sentivo diversa dal solito. Così, dopo essermi ripresa dallo stato di trance e continuando a danzare tra le onde dei miei pensieri, mi spiaggiai sul letto prendendo subito sonno.

Sul vecchio comodino avevo una foto della festa d’addio organizzata per noi novelli sposi in partenza verso la nuova vita meneghina. Ho bene in mente quel momento in cui venne scattata: sulla terrazza di casa dei nonni materni, con una brezza d’agosto piacevole e la luna marina che splendeva alta nel cielo pulito, io abbraccio con tanto vigore nonna Rosa e lei mi prende la mano guardando verso l’obiettivo. Un sorriso smagliante e spensierato il mio, uno sguardo saggio e vissuto quello di lei. Notai questo sguardo solo dopo quella dormita insolita, e non so perché mi misi ad analizzare i miei capelli in quella foto. Lunghissimi e sciolti, mentre quel mattino li avevo legati in una treccia ormai scompigliata...



<<Mia nonna diceva che quando una donna si sentirà triste, quello che potrà fare è intrecciare i suoi capelli: così il dolore rimarrà… intrappolato tra i suoi capelli e non potrà raggiungere il resto del corpo. Bisognerà stare attente che, la tristezza, non raggiunga gli occhi, perché li farà piangere e sarà bene non lasciarla posare sulle nostre labbra, perché ci farà dire cose non vere; che non entri nelle tue mani – mi diceva – perché tosterà di più il caffè o lascerà cruda la pasta: alla tristezza piace il sapore amaro. Quando ti sentirai triste, bambina, intreccia i capelli: intrappola il dolore nella matassa e lascialo scappare quando il vento del nord soffia con forza. I nostri capelli sono una rete in grado di catturare tutto: sono forti come le radici del vecchio cipresso e dolce come la schiuma della farina di mais. Non farti trovare impreparata dalla malinconia, bambina, anche se hai il cuore spezzato o le ossa fredde per ogni assenza. Non lasciarla in te, con i capelli sciolti, perché fluirà come una cascata per i canali che la luna ha tracciato nel tuo corpo. Intreccia la tua tristezza – mi disse – intreccia sempre la tua tristezza. E, domani, quando ti sveglierai con il canto del passero, la troverai pallida e sbiadita tra il telaio dei tuoi capelli>>.



Eppure dopo essermi svegliata e indagato sulla foto e miei capelli , continuavo a sentire quella diversità in me e la malavoglia di dare un senso a quel che rimaneva della giornata. E per sentirmi meno in colpa della mia svogliatezza, mi ripetevo che il giorno dopo sarei dovuta andare in Accademia per un altro importante passo come quello della tesi di laurea. Avevo preso appuntamento con la prof.ssa Tiziana per parlarne, la quale qualche tempo prima mi aveva dato delle dritte su un posto, la “Casa delle Donne” di Milano, dove poter proporre un mio progetto di Terapeutica artistica. Era strano quanto mi risuonasse la parola “donna” in quel periodo, forse perché ero in preda a tanti cambiamenti di cui alcuni non ne comprendevo la natura, ma forse è più giusto dire che mi spaventava ammettere che ne ero turbata.

Come direbbe la rinomata psicologa Silvia Vegetti Finzi a proposito del turbamento <<è difficile trovare parole per dire sensazioni, percezioni che coinvolgono il corpo e l’anima, il dentro e il fuori di sé, stati psicofisici né attivi né passivi, riflessivi>>. Ancora Freud parla di “perturbante”, come una sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare. Erano molto chiari i segnali, ma io ancora non li volevo apprendere fino in fondo e quel turbamento arrivò per la prima volta con il ritorno di Matteo a casa per cena. Lui mi parlava della giornata saltando spesso all'indietro sulle imprese quasi eroiche compiute per la nuova casa, dell’aiuto dei nostri papà che, come Stanlio e Olio, ci avevano aiutato in un iniziale trasloco. E intanto mi soffermavo a pensare a quanto mi avesse dato fastidio il fumo delle sigarette di mio suocero, piuttosto la fatica che facevo nel bere i miei caffè giornalieri. Eh sì, io che sono quasi caffeinomane, avevo proprio dimenticato quel mattino di berlo e non avevo accusato nessun bisogno, se non solo il calore dell’abbraccio di mia nonna... ed è in quel momento che ho realizzato nella mia mente, mentre Matteo lavava i piatti e continuava a parlare, che quello spasmo rapido e furtivo alle spalle di quella mattina non era altro che la sigla dell’esperienza che trasforma ogni ragazza in donna e una donna in madre.

Ero davvero esausta senza aver fatto nulla e non riuscivo a prendere sonno quella notte per il ventre fastidiosamente gonfio. Fissavo il soffitto in legno mentre cercavo di aprire i polmoni il più possibile ad ogni respiro. Non era la prima notte che la passavo in quel modo, continuando a ripetermi che era frutto di quei nuovi cambiamenti. E all'improvviso di nuovo un fremito, non fuori ma dentro il mio corpo, sotto il diaframma, prossimo al cuore, mi annunciava che d’ora in poi al mondo ci sarebbe stato anche lui, il mio bambino. In un istante incalcolabile quell’ospite da tempo sognato, fantasticato, atteso nei miei desideri stava diventando realtà incarnata, viva, vera, condivisa.

Tutto questo al mattino seguente mi risuonava come un sogno segreto ed impossibile, perché ero stressata dalla questione della nuova casa e dell’inizio della conclusione della specializzazione. Un figlio era fuori programma per questi urgenti obiettivi. Chiusi la porta del mio mondo interiore e uscii di casa per andare verso un’altra: in Accademia mi attendeva la professoressa per discutere sul progetto da proporre alla “Casa delle Donne” di Milano. Mi piaceva l’idea di lavorare al femminile per il mio progetto, soprattutto in un luogo propriamente chiamato “casa” dove le donne di ogni cultura, età, stato sociale vengono accolte e stanno insieme. Avevo proprio bisogno di questo. Sentivo la mancanza di mia nonna, di mia madre e di tutte le donne della mia casa natale, per quei cambiamenti in atto che mi stavano chiamando di nuovo a camminare senza la loro vicinanza. E’ da qui che ho iniziato ad intessere un’idea di lavoro che ha radice nella mia infanzia: insieme alle donne della mia vita ci trovavamo riunite quasi ogni giorno a casa di nonna Rosa a fare insieme le attività più semplici, scambiando storie ed esperienze. Mi è caro il ricordo di mia madre e mia zia con i pancioni che ricamavano, mia nonna che cuciva e rammendava tra un caffè e qualche risata, mentre io e mia sorella che giocavamo in mezzo a loro. E’ stato il luogo più accogliente e sereno in cui io abbia mai vissuto. Ed ecco qui la mia proposta di progetto di tesi che viene accolta dalla prof senza indugio: creare un’opera tessile per mano di donne che vogliono stare insieme.

Dopo il colloquio, felice di questo altro inizio, mi ritrovai di nuovo sola con i miei pensieri e i brividi di freddo. Non presi subito la strada verso casa, volevo indagare a fondo su quelle sensazioni e credere quasi disperatamente che il sogno di quella notte non era stato solo quello. Così ho comprato un test di gravidanza dalla farmacista che mi augurò ogni bene per un evento che ancora non credevo possibile, e intanto risultò positivo senza indugio. Non dimenticherò mai quel momento: ero sola mentre stringevo al petto quel bastoncino, piangendo incredula nel bagno. Durò però poco quella solitaria rivelazione, Matteo mi stava telefonando e poteva essere una buona occasione per condividere tutto quel trambusto. Non gli dissi nulla, glielo avrei detto solo più tardi al suo rientro, ma aveva appreso che qualcosa mi turbava: <<Amore stai piangendo? Che hai?>> ed io <<No, è solo un po' di sinusite>>, mi aveva telefonato affinché andassi nella nostra nuova casa per decidere il colore delle pareti.

Mi misi in viaggio verso quella che davvero sarebbe diventata la casa per una famiglia a tutti gli effetti, guardavo ormai con occhi diversi il nuovo quartiere. Alle mie modificazioni interne corrispondeva un sovvertimento urbano: quello che era un grande prato, dove talvolta scorrazzavano cani giocherelloni, mi appariva diverso. Rumori di operai che montavano in fretta e furia edifici per far fronte al boom delle nascite imminenti. E pensavo che un mondo nuovo attendeva tutti noi, in una nuova casa con il nostro bambino.


E' da qui che “Tra-me e te” viene concepito. Durante un vortice di cambiamenti, come una matassa di fili aggrovigliati da districare per intrecciare nuove relazioni.

La “Casa delle Donne” di Milano è stato il luogo che ha abbracciato questa scommessa dando voce alle trame delle vite che si sono incrociate fisicamente per il mio primo progetto come artista terapista e... come futura mamma. Un generoso gruppo di donne, di differente provenienza culturale e sociale, ognuna con la propria portata esperienziale ha condiviso e tessuto con me: madri, nonne, figlie e zie, straniere e italiane, tutte insieme riunite intorno ad un tavolo, in un clima sereno e familiare per creare e condividere le fila delle proprie storie, gioie e pensieri. E' stato rivivere un’altra nuova “casa” tutta al femminile che mi ha accolta e accudita come nei miei ricordi.


Forse devo dire che “Tra-me e te” non sarebbe esistito se non fossi esistito lui, Francesco. Il merito è suo. Mi ha fatto diventare madre, e mi sta facendo diventare donna ogni giorno di più... e in particolare un'artista. E' il motore della mia creatività.

A Francesco dedico questo blog.


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