<< [...] sapeva scrivere solo con l’ago. Ogni creazione uscita dalle sue mani aveva una parola d’amore inscritta nella trama del tessuto. [...] Niente le pareva troppo umile, troppo assurdo, troppo abietto, ai suoi occhi niente era indegno di essere filato. Riuscì a trarre dalla materia la sua parte migliore.>>
(Carole Martinez, Il cuore cucito, Mondadori, Milano, 2009, pp. 10, 63)
Come nell'intenso romanzo Il cuore cucito, opera prima della scrittrice francese Carole Martinez, vede una donna, la protagonista Frasquita Calasco, che detiene nelle sue mani il potere del filo tramandato dalla sua famiglia di donna in donna, segnata da un dono tanto potente destinato ad assumere forme diverse di generazione in generazione. La giovane Frasquita è l’ultima erede: in una scatola magica seppellita sotto un ulivo ritrova aghi, fili e rocchetti. Questo sarà il suo talento, la capacità di cucire abiti e oggetti meravigliosi ottenendoli non solo da stoffe, ma anche da semplici stracci, foglie e pietre. Abiti che possono regalare un istante di splendente bellezza a chi li porta, e che, usciti dalle sue mani, si trasformano: i fiori del suo vestito da sposa sono così vivi e freschi da appassire sotto gli sguardi gelosi dei compaesani, il cuore di seta nascosto sotto il vestito della Madonna portata in processione sembra palpitare. E’ un potere magico in grado di ricucire gli strappi dell’esistenza, i traumi, le ferite, i dolori, rivestire di bellezza ogni corpo, mettere in contatto, attraverso l’ago, l’al di qua e l’aldilà.
Ho conosciuto anche io questa magia durante la mia infanzia, vissuta non solo come un lavoro quotidiano e utile nella vita domestica, ma tanto da sentire quel filo cucire il mio cuore, la mia mente, il mio destino. E’ stato il trascorrere del mio tempo con le donne della mia famiglia a regalarmi quella <<parola d’amore inscritta nella trama del tessuto>>, scambiando storie ed esperienze soprattutto intorno a cartamodelli, bottoni, sbiechi, filo per imbastire. Si tratta del potere comunicativo del filo, come impegno fondante di trasmettersi reciprocamente, consegnarsi a vicenda il filo di una relazione autentica.
Questa prima consegna del filo, era di colore rosa...rosa era anche il suo nome: mia nonna Rosa. A lei devo la cura e l’amore per quel filo che unisce anche le persone e con il quale ha imbastito nella mia memoria i ricordi più belli.
Tutte le nonne, o la maggior parte di esse, hanno in casa una macchina da cucire, magari di quelle con mobiletto incorporato; non solo, tutte le nonne la sanno usare. Mia nonna ne aveva proprio una così, un modello della Singer a pedali degli anni 30’-40’. Era stato un regalo sudato e tanto affettuoso del suo papà, per la sua secondogenita e prima figlia femmina che doveva badare alla numerosa famiglia (erano nove figli!), e quindi imparare i mestieri utili in una casa di quei tempi. Quando l’aiutavo ad imbastire con quel filo appositamente “rosa” di un grande rocchetto, mentre lei era a lavorare con manovella e pedale, ricordava spesso come aveva imparato a cucire: una dodicenne adulta che andava a casa di una signora, per <<farmi sarta>> diceva ed <<è lì che ho imparato l’orologio e il tempo>>. Era vicino al Palazzo della Prefettura di Salerno, avente una torre con tanto di orologio che scandiva lo studio e il lavoro di nonna e mi diceva che l’aiutava ad organizzare le sue faccende per i suoi fratelli, poi dopo un po’ di anni per suo marito e suoi figli, fino per noi nipoti e per tutti coloro che glielo chiedevano. Nonna Rosa con la sua macchina da cucire sembrava una sacerdotessa che baciava il suo altare ogni volta che ci si accostava per celebrare una vera e propria “liturgia”: un insieme di riti o funzioni che dal greco letteralmente significa “azione per il popolo”, il servizio pubblico, liberamente assunto, in favore del popolo. Quella macchina era il fulcro della sua casa, della sua famiglia, del suo cuore. Strumento attraverso il quale si offriva ad ogni richiesta senza sosta. Quanto era lungo quel filo rosa da imbastitura, tanto ha lavorato per noi suoi cari e quel rocchetto oggi non è ancora terminato. E’ come un testimone che passa di mano in mano per essere utilizzato. Ecco perché quel filo per imbastire è appositamente “rosa”, non solo per distinguere i punti definitivi dei lavori sartoriali, ma affinché il suo ricordo, il suo amore che ha sempre unito tutto non si perda. Anzi, continui ad essere tramandato: <<fino in fondo, fino all'ultimo respiro, e oltre ancora, e poi intorno e dentro noi. [...] Fino in fondo ci hai mostrato quale filo usare per tenere unita una famiglia. >>
Racconterò di lei ancora in un altro post, nel quale descriverò un'opera d'arte tessile a lei dedicata e di quel filo rosa che ancora imbastisce i miei lavori, i miei pensieri e desideri.
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